venerdì 23 gennaio 2009

E non abbiam bisogno di parole

Alla mattina arrivo presto al lavoro e non è detto che ci sia già qualcuno in ufficio per cui capita che sia io a dover aprire e quindi, che sia io a dover chiedere le chiavi in reception. I primi giorni, completo di sorriso di cortesia, partivo con una frase tutta fatta bene, equipaggiata con tutti i suoi bei soggetti, verbi coniugati e complementi. Impiegandoci 20 minuti a raggiungere l'ufficio da casa, avevo tutto il tempo per prepararla. Chiedi oggi, chiedi domani, l'usciere ha cominciato a rispondermi prima ancora che finissi la frase, sebbene preparata con tanta cura lungo il percorso. Hanno già preso le chiav... Qualcuno ha preso l... C'è già qualc... Chiav... Giorno per giorno, il colloquio si è accorciato sempre di più, ovviamente senza mai perdere la classica britannica cordialità. Ed è così che da qualche giorno, la gente assiste ad un surreale colloquio silenzioso tra uno strano tipo che, sorridendo, punta il dito in alto e l'usciere che, da dietro il banco, gli risponde annuendo e sorridendo a sua volta.

domenica 11 gennaio 2009

Informazioni di servizio

Visto che il numero di lettori (nominali) del blog ha ormai raggiunto la stratosferica cifra di quattro, è il momento che sappiate che:

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Ci starebbe bene un punto numero tre ma è da mezz'ora che lo cerco e non mi viene, quindi mi fermo qui.

L'importanza di chiamarsi Sergio

Ok, forse non sono la persona più tollerante di questo pianeta, ma non pensavo che questo avrebbe mai potuto essere un problema: il mio nome. Il fatto è che qui non è che dicono Sergio (con 5 suoni di cui due vocali: 's', 'e', 'r', 'g' morbida e 'o'), no, qui mi chiamano sörgijou. Che non riesco nemmeno a scriverlo con la maiuscola davanti, perchè che cazzo è, un nome?? Vedi? Già viene fuori tutta l'intolleranza che ho maturato in questo mese nel regno di Elisabetta II. Dicevo, comunque, che non pensavo potesse essere un problema ma lo è e non credo nemmeno che sia solo una roba mia, è un fatto di identità, prova te a sentirti chiamare in un modo sbagliato per un mese e da tutti, impazzisci! E non cominciamo con il solito relativismo "non puoi dire che sia sbagliato, in fondo è il loro modo di pronunciarlo". Eh no, qui si tratta di me, capito? Io sono affezionato al mio nome e sono abbastanza (ancora) certo che non sia affatto sörgijou ma Sergio. Magari con quella bella e aperta di noi lombardi: Sèrgio. Aaah che figata!

domenica 4 gennaio 2009

Capodanno col Gibo



Io e il prode Gibo siamo approdati a Londra verso le dieci e mezza della sera dell'ultimo e ci siamo subito gettati nel fiume di persone dirette a Westminster per vedere i fuochi d'artificio. Per prima cosa, delusione per la mitica puntualità inglese: sul maxi schermo il conto alla rovescia segnava ancora meno dieci quando il grande Beniamino (ma si dai, l'orologio del campanile di Westminster) ha cominciato a suonare e sono partiti i tanto attesi fuochi d'artificio. Certo per noi fortunati che abbiamo assistito a quelli di Paderno non è che sia stata proprio una grossa sorpresa, ma tutto sommato non erano male (* per i seriatesi che non l'avessero notato il sarcasmo, l'ultimo periodo era una battuta).
Finiti i fuochi, siamo abbiamo scelto uno dei fiumi di persone che lasciavano la piazza e abbiamo cominciato a girare per la città, adottando l'ormai consunta tecnica della fotografia per attaccare bottone: "scusa, ci fai una foto?" Certo poi ti capita che non hai visto che il gruppo di ragazze è seguito da un gruppo di ragazzi (di numero uguale) e allora poi questi (che probabilmente le hanno abbordate un istante prima dicendo "scusa, ci fate una foto?") capiscono che non è la foto che ti importa e allora ti raggiungono e ti chiedono "scusa, adesso ci fai tu una foto tutti insieme?" e tu sei costretto ad immortalarli con le loro prede. Ed è così che io e il Gibo ci siamo ritrovati con un mare di foto di noi due.
Alla fine ci siamo ritrovati in un bar ad aspettare che Cinzia finisse di lavorare e che ci portasse a casa sua, dove avremmo passato la notte: erano circa le due. Mentre ero al bancone per ordinare due birre, sono stato avvicinato da un tizio con un accento strano che ha esordito dicendo "credi nell'amore?" Dopo pochi istanti ha sfoderato la sua tesi filosofica completa: "sai, la scienza è fede, Dio è amore, quindi la scienza è amore". Non gli ho nascosto il mio scetticismo, ma lui non accusando particolarmente il colpo si è messo a parlare col barista, come se niente fosse.
Il giorno dopo naturalmente stavo male. Sarà stato un po' perchè non sono un grade bevitore e un po' perchè faceva freddo, sta di fatto che ho inaugurato l'anno nuovo con frequenti visite al cesso e una lunga degenza a letto, mentre sentivo, Gibo, Cinzia e gli altri suoi coinquilini ridere e scherzare dall'alltra parte del muro.
Alla sera ci siamo rimessi in cammino, alla volta di Bristol, accompagnati da Cinzia, il nostro Virgilio nel dedalo di pullman e metro che separano casa sua dalla stazione dei treni. Di questa parte dell'esperienza londinse rimmarrà nella storia la lapidaria diagnosi di Cinzia al Gibo, dopo l'ennesima sua risposta "eeeeehm... per me è uguale, quello che vuoi tu va bene", Cinzia, lapidaria, ha sentenziato: "Gibo, tu sei affetto dalla sindrome di Mamma Papera". So che Gilberto non ama questa battuta, ma tanto lui non legge il blog!!