domenica 4 luglio 2010

Cambio indirizzo

Ai pochi lettori che questo blog può vantare: vi dispiacerebbe continuare a seguirmi a http://applejuzz.wordpress.com/ ?

mercoledì 16 giugno 2010

Esperanto, ma fino a un certo punto

Una volta imparato come si dice bagher o palleggio, la pallavolo è diventata una specie di oasi dove diventa facile comunicare, dove le differenze culturali quasi si azzerano, dove non conta più se a colazione prendi un caffelatte o le uova col bacon. C'è un solo modo di murare l'avversario e c'è un solo modo per esultare dopo. Su tutti i campi del mondo gli allenatori hanno lo stesso sorriso malvagio quando dicono "Ok ragazzi, ripetute. Tutti a fondo campo". Puoi anche non capire cosa ha detto ma glielo leggi in faccia che stai per sputare l'anima. E nel Paese in cui il volante sta inspiegabilmente a destra è quasi un miracolo che in campo si giri dalla stessa parte che nel resto del mondo.
Ma quando rientri negli spogliatoi e vedi che si sono portati la birra sotto la doccia, ti ritorna ben chiaro che va bene la pallavolo, ma sono pur sempre inglesi, loro.

mercoledì 9 giugno 2010

La dura lezione del fantasma formaggino

Essere immigrato italiano nel Regno Unito in trasferta ad Hong Kong potrebbe sembrare complicato, ma per i colleghi cinesi che lavorano nel nostro ufficio di Hong Kong io ero solo uno di quelli che stanno in Europa.
Si vedeva che l'avevano già fatto altre volte: era arrivato il britannico, lo avevano portato in un ristorante e avevano ordinato le cose più strane per poi godersi la sua faccia. Chissà quante volte, dopo altrettanti primi assaggi degli stranieri, hanno chiesto "hai capito cos'è?" con quel sorrisetto superiore che mi sono trovato davanti anche io. Cazzo, ai cinesi piace da matti fare i cinesi, adorano vantarsi di lavorare tanto e di mangiare tutto ciò che ha gambe, salvo i tavoli. Solo che io non sono britannico, è un po' come nelle barzellette: "c'è un inglese, un francese e un italiano..." ovvio chi vince, no?
"Hai capito cos'è?" mi hanno chiesto dopo il primo assaggio, ma le zampe di gallina non potevano impressionarmi visto che mia madre se le sgranocchia allegramente tutte le volte che fa il brodo di pollo. Nemmeno la testa del pesce era riuscita nell'intento, dopo tutte quelle che ho visto ripuilte da mio zio Claudio che è il grande mangiatore di teste di pesce della famiglia. La loro delusione era però destinata a trasformarsi presto in disfatta totale, essendo io lombardo oltre che italiano: la descrizione della trippa, del musetto del maiale nella cassöla e degli uccellini sulla polenta hanno impietosamente chiuso la partita, strappando anche qualche smorfia. Il fantasma formaggino era scappato per molto meno, ma i miei colleghi cinesi non potevano saperlo.

lunedì 10 maggio 2010

Il sole

Vivere in un posto con un tempo come quello inglese significa imparare a venerare un raggio di sole, almeno quanto in un deserto si venera l'ombra di un'oasi. I parchi si popolano di coperte, i tavolini all'aperto di birre, tutti quanti si precipitano fuori ad ammirare questo straordinario evento meteorologico: il sole. E' una necessità, o più probabilmente un riflesso incondizionato.
Ma il fatto è che dicendo "sole", quassù, non si intende necessariamente "caldo" e una splendida giornata di sole può tranquillamente offrire tra i 10 e i 15 miseri gradi centigradi, non proprio una temperatura da spiaggia tropicale, si direbbe. Ma questo può forse impedire ad un britannico di uscire di casa in calzoncini, maglietta e infradito? O di mettersi in costume in spiaggia quando la sabbia è gelida e tu hai quasi freddo con la giacca? Ovviamente no, e perchè mai? C'è il sole!
Anche i bambini partecipano a modo loro all'euforia generale e non importa quanto caldo o quanto freddo faccia, se c'è il sole li vedi sguazzare felici in maglietta e pantaloncini nelle fontane. Un'impresa simile, anche in pieno agosto, sarebbe stata premiata da mia madre con un paio di sberle, perchè "bravo, adesso ti prendi un bel raffreddore, sei contento?" ma le loro madri no, sorridono beate e lasciano fare, forse sanno qualcosa che noi non sappiamo a proposito degli effetti immunizzanti della pancetta fritta a colazione.

mercoledì 17 marzo 2010

Libertà di espressione

Uno dei vantaggi del vivere all'estero è che non capiscono quando dici parolacce. Sembra una cosa da poco, ma dà dipendenza ed è talmente piacevole che potrebbe da solo essere uno dei motivi principali per emigrare. Tutti gli aspiranti emigrati hanno ad un certo punto preso un foglio, l'hanno diviso a metà e hanno elencato i pro e i contro. Ma nessuno, ne sono convinto, ha mai messo nella colonna dei pro, come invece avremmo dovuto tutti fare, il fatto di poter dire parolacce più o meno liberamente. So di non essere l'unico che invoca i santi del paradiso a mezza voce quando in ufficio qualcosa non va, sento che ci sono schiere di italiani all'estero che saraccano senza ritegno protetti dalle differenze linguistiche, forza ammettetelo!
Per questo, se il mio inglese stenta a decollare, il mio italiano si è arricchito di una serie di coloriti intercalari e ormai non mi controllo più: davanti al mio pc in ufficio, per strada quando perdo il pullman, se qualcosa mi casca dalle mani o durante le partite di pallavolo. Dico cose che, in pubblico, non ho mai detto, all'insegna del "tanto chi mi capisce?" Finchè incontri uno che sorridendo ti dice "Italiano?"

mercoledì 10 marzo 2010

Oblio asimmetrico

Il "Zave" è un amico di vecchia data di mio padre, notissmo in paese, lo si vede spesso camminare e lanciare calorosi saluti e larghi sorrisi a destra e a sinistra. Sconosciuto soltanto a chi, al paese, è arrivato "dopo", riserva a questi trapiantati niente più che il banale "buongiorno". Quando una delle volte in cui sono tornato, incontrandolo, mi sono beccato proprio quest'ultimo "buongiorno" ho capito. Ho capito che non c'è simmetria nella lontananza di un emigrato, perchè è lui ad essere fuori posto, la vita degli altri continua uguale. Tu non dimentichi perchè ne va della tua identità, loro, invece, sì. Incontrando un conoscente c'è sempre un momento (più o meno lungo, solitamente in qulache modo proporzionale alla sua età) in cui ti guarda come a dire "E questo chi cazzo è?"
Addirittura mia madre è passata dal chiamarmi due volte alla settimana e lamantarsi perchè non ero io a farlo, al chiamarmi una volta a settimana senza più lamentarsi, al "Ah sei tu! Non mi aspettavo la chiamata" quella volta che chiamo. Perchè ora sono io che chiamo.

domenica 7 marzo 2010

Donne

Una volta, verso l'inizio della mia avverntura inglese, ho visto una mia collega portare degli scatoloni e mi sono offerto di aiutarla. "No grazie ma ci riesco da sola", mi ha risposto e un po' mi sono stupito. D'accordo, in quanto a forza poteva tranquillamente sollevare me, insieme agli scatoloni, ma non è questo il punto per un italiano, no? Il fatto è che per noi ci sono dei ruoli e non parlo solo di quei cafoni maschilisti sciovinisti che noi maschi non siamo altro. Anche le signore italiane, temo, hanno lo stesso problema. Qui si vedono donne spalare la neve, portare la spazzatura, guidare gli autobus, pulire le strade, oltre che fare gli avvocati, i dottori e i politici. Ha più senso parlare di partità così, no? Buona festa della donna a tutte le spalatrici di neve, portatrici di spazzatura, pulitrici di strade, autiste di pullman, avvocati, dottori e politiche che hanno capito cos'è la parità. E a tutte quelle che a volte aprono la porta agli uomini.

giovedì 25 febbraio 2010

Imparare l'inglese

Non è facile ammettere, dopo più di un anno da quando mi sono trasferito qui, che io l'inglese prorpio non lo capisco.
Il mio rapporto con la bizzarra lingua anglosassone comincia nel lontano passato delle scuole medie, quando l'isegnante di inglese, una delle Signore di Ferro dell'Istituto Suore Sacramentine di Bergamo, cercava disperatamente di inculcarne i principi fondamentali nelle nostre zucche vuote di pre-adolescenti. La professoressa ci faceva studiare lezione su lezione, armata del libro "You!" e dell'incrollabile fede nel principio "prima o poi qualcosa impareranno", ma, probabilmente, non tutto è andato per il verso giusto. L'immagine dell'inglese che mi è rimasta dai tempi della medie è di una lingua un po' effemminata da parlare mentre si sorseggia una tazza di tè con il mignolo in su. Lingua in cui non c'è traccia di parolacce, ovviamente, e che ha un vocabolario piacevolmente ridotto. Che è parlata in un Paese dove i libri stanno sul tavolo e i cani sotto, in cui "Salve" quando ci si incontra e "Addio" quando ci si lascia. Poi sono arrivato qui e ho trovato che la birra sta al posto del tè, che non c'è più nulla di effemminato quando a parlare inglese è un omone di duecento chili, che quando ci si incontra "Tutto bene?" e quando ci si lascia "Salute!" Che per ogni verbo che conoscevo ci sono miriadi di versioni modali con significati tutti diversi, uno per ogni preposizione, quando non ci sono due preposizioni! Poi ci sono i verbi che non conoscevo. E le parolacce: che ci si creda o no, ci sono! Certo non hanno molta fantasia qui, tutto (o quasi) ruota attorno al celebre vaffanculo, trasformato di volta in volta in verbo, aggettivo o sostantivo, ma hanno sviluppato tutta una gamma di parolacce adatte per ogni occasione. Dove sono Ronnie, Jane e Mike, i protagonisti del libro "You!"? Avrei da dirgli due paroline, ne ho imparate di adattissime.

mercoledì 17 febbraio 2010

Allarme!

Non era un giorno piovoso come un altro, non era la solita pioggerellina inglese su sfondo grigiastro. Pioveva a dirotto. Quale giorno migliore per l'allarme antincendio, visto che il punto di raccolta è allo scoperto? Così, sotto ombrelli o ripari improvvisati alla meglio con cartellette o giubbini, eccoci tutti raccolti nel parcheggio, mentre arrivano i pompieri con sirene e lampeggianti e la procedura dell'emergenza antincendio si mette in moto dispiegando tutti i suoi 5.35 minuti (medi) di organizzazione.
Avevo già avuto modo di conoscere la flemma inglese, quella capacità di rimanere disciplinati e tranquilli in ogni condizione, ma mi è scappato ugualmente un sorriso notando che molti, nella fretta dell'evacuazione, sono riusciti a mantenere il sangue freddo e a prendere con loro lo stretto indispensabile: la tazza di tè, siamo inglesi, per dio! Me li immagino sul Titanic che affonda: "Prego signore, prima lei!"

giovedì 11 febbraio 2010

Differenze

C'è un programma in TV nel Regno Unito che ha avuto un grandissimo successo, hanno trasmesso la quinta serie l'anno scorso e ce ne sarà una sesta. Un roba grossa, il titolo in italiano suona come l'apprendista, uno di quei programmi di cui tutti parlano il giorno dopo: un po' come il calcio in Italia, solo meno noioso e senza imbecilli che mettono a ferro e fuoco le città. Ah, anche senza corruzione degli arbitri, senza ingaggi milionari, senza il marciume degli sponsor e senza Processo del Lunedì. Ok, ora che ci ripenso non c'entra un cazzo col calcio. Però se ne parla sempre il giorno dopo. E poi genera anche alcuni tormentoni. Tipo "Sei licenziato" che è la frase ad effetto con cui si concludono tutte le puntate, tranne l'ultima che finisce con "Sei assunto!" Insomma, ripeto: una roba grossa. Il fulcro di tutto è il dispotico Signor Alan, un uomo ricco sfondato che ha cominciato come signor nessuno ma che poi s'è comprato la Amstrad, che fa selezione tra una squadra di candidati. Alla fine di ogni puntata, nella quale i concorrenti devono affrontare prove di tipo manageriale, il Signor Alan punta il dito sul più scarso e gli dice "Sei licenziato". L'ultimo che rimane vince un posto da dirigente nella sua azienda. Ma la tanto attesa sesta serie, programmata originariamente per Marzo come le elezioni politiche, è stata rimandata perchè Sir Alan ha assuno un incarico di governo come consigliere economico e, "sebbene lui abbia dichiarato che non considera questa carica come di parte (cioè che non appoggia politicamente il governo, ndr) mandare in onda la trasmissione durante le elezioni potrebbe mettere a rischio l'imparzialità". Quando l'ho letto ho pensato all'amata-odiata Italia e sono ammutolito.
Sir Alan è l'icona dell'imprenditore di successo, dell'uomo che si è fatto da solo: un po' come Berlusconi, a parte che non si è candidato alle elezioni, che non possiede la maggior parte del mercato pubblicitario e che è più simpatico. Ah, inoltre non ha processi pendenti, non ha avuto uno stalliere mafioso, non è stato beccato con prostitute e minorenni, non è amico di Gheddafi e non ci sono, almeno per ora, dubbi sull'origine delle sue fortune. Ok, adesso che ci penso, forse il paragone con il calcio non era poi così fuori luogo.

lunedì 18 gennaio 2010

Le meraviglie di Bristol

Se sei seduto al pub e all'improvviso vedi un po' di persone eccitate che si dirigono verso di te con carta e penna per l'autografo, i casi sono due: o sei famoso oppure sei seduto accanto ad un VIP e non te ne sei accorto. Io ero seduto accanto a (tenetevi forte) Justin Lee Collins. Vi state chiededo "e chi minchia è questo?" Be', me lo sono chiesto anch'io quando, voltandomi, ho visto quell'omone barbuto e sorridente vestito da cow boy lustrinato, ma pare che da queste parti sia una celebrità. Probabilmente, messo a confronto con bristolesi illustri come Paul Dirac e Cary Grant non fa proprio una grande figura ma gli avventori sembravano non preoccuparsene per niente e gli portavano uno dopo l'altro carta e penna per l'autografo.
Io, nel frattempo, me ne stavo seduto proprio di fianco a lui ignorandolo bellamente e mi sentivo un po' come quella volta a Londra in cui ho incontrato Jude Law. Con tutto il rispetto per l'amico Justin.